Women in US
La prima volta di Jennifer – Rachel, Rachel di Paul Newman (1968; 110′); v.o.sott.it
Titolo originale: Rachel, Rachel
Regia: Paul Newman
Sceneggiatura: Stewart Stern
Fotografia: Gayne Rescher
Montaggio: Dede Allen
Scenografia: Robert Gundlach
Suono: Jack Jacobsen
Musiche: Jerome Moross
Interpreti: Joanne Woodward, James Olson, Kate Harrington, Estelle Parsons, Donald Moffat, Terry
Kiser, Frank Corsaro, Bernard Barrow, Geraldine Fitzgerald, Nell Potts, Shawn Campbell, Violet
Dunn, Beatrice Pons, Dortha Duckworth, Simm Landres, Izzy Singer, Tod Engle, Connie Robinson,
Sylvia Shipman, Larry Fredericks, Bruno Engler, Wendell P. MacNeal IV, Pete Bostrom
Produzione: Paul Newman per Kayos Productions
Durata: 110 minuti
Prima proiezione: 26 agosto 1968
Sinossi:
Rachel Cameron è stata una bambina solitaria, figlia di un becchino e di una donna priva di
attenzioni. Sono passati gli anni, ma la situazione non è poi cambiata un granché: ora
trentacinquenne Rachel è un’insegnante e vive ancora con la madre, nella casa sopra l’agenzia di
pompe funebri che era appartenuta al padre. Donna solitaria e molto timida, Rachel affronta le
vacanze estive con poco slancio e un gran senso di noia. La sua collega e amica Calla la convince
però a partecipare a un incontro con un predicatore di passaggio…
Jennifer Cameron, incomprensibile invenzione tutta dell’edizione italiana visto e considerato che in
originale il nome della protagonista è Rachel (e lo sottolinea perfino il titolo originale), è cresciuta
circondata da bare e in una bara si sente ancora a trentacinque anni di età. Una bara che si chiama
società e che è altrettanto soffocante, asfittica, priva di vie di fuga o di scampo, all’apparenza.
Jennifer è un personaggio centrale se si vuol prendere in esame l’evoluzione della messa in scena
della donna nel cinema hollywoodiano in odor di rinnovamento, anticipando quel desiderio di fuga
e quel senso di oppressione supremo, quasi aprioristico, che sarà il minimo comun denominatore di
molte sceneggiature. Sono sue sorelle – minori, almeno stando alla cronologia produttiva – anche
alcune delle protagoniste della rassegna, dalla Wanda raccontata da Barbara Loden alla Natalie
Ravenna di Non torno a casa stasera di Francis Ford Coppola: anime irrequiete, dominate da un
giudizio preventivo che le vuole incasellate in un ordine già costituito e che non può – non deve –
essere messo in discussione. È stato dimenticato piuttosto in fretta Rachel, Rachel, che in italiano si
disperde in un anonimo La prima volta di Jennifer, come se si volesse spostare l’attenzione solo su
uno degli aspetti della trama, vale a dire la perdita della verginità. Ma in realtà la “prima volta” di
Paul Newman, che mai aveva diretto un lungometraggio e da lì alla fine della carriera ne porterà a
termine altri quattro, è un’opera ben più centrale di quanto si possa pensare. Nella sua ricerca di
un’asciuttezza formale che distenda il tempo, nei fatti raggelandolo, c’è già quello sguardo verso
l’autorialità europea che sarà uno dei motivi dominanti della nuova onda a stelle e strisce; così come
il racconto di una femminilità auto-castrata che preferisce fingersi morta che affrontare i turbinii
della vita, anticipatore della messa a fuoco della teoria della liberazione del corpo e del costrutto
mentale (e morale, e politico) della donna. Se non si serba più memoria di questo piccolo e prezioso
gioiello è con ogni probabilità proprio per la sua esibita austerità, lontana da manicheismi e svolazzi
estetizzanti. Un’opera che matura durante il proprio svolgimento, seguendo il destino di Jennifer, e il
suo percorso di emancipazione tanto dal mondo maschile quanto dalla prammatica borghese.
Newman affermò di essere riuscito a mettere insieme il denaro necessario per produrre il film –
tratto da un romanzo di Margaret Laurence e sceneggiato da Stewart Stern, noto all’epoca per lo
script di Gioventù bruciata – grazie ai compensi per aver prestato il volto alla pubblicità del J&B.
Ennesima dimostrazione di totale volontà d’indipendenza, indispensabile per condurre in porto
un’operazione produttiva così singolare ed estrema. Insieme all’interpretazione sublime di Joanne
Woodward, per la quale l’attrice ricevette una candidatura agli Oscar, battuta dall’ex-aequo tra
Katharine Hepburn e Barbra Streisand, rispettivamente per Il leone d’inverno e Funny Girl.