Omaggio a Monte Hellman
Amore, piombo e furore di Monte Hellman (1978; 92′); 35mm
Titolo internazionale: China 9, Liberty 37
Regia: Monte Hellman
Sceneggiatura: Ennio De Concini, Vincente Escrivà Soriano
Fotografia: Giuseppe Rotunno
Montaggio: Cesare D’Amico
Scenografia: Luciano Spadoni
Suono: Carlo Palmieri
Musiche: Pino Donaggio
Interpreti: Fabio Testi, Warren Oates, Jenny Agutter, Sam Peckinpah, Isabel Mestres, Gianrico
Tondinelli, Franco Interlenghi, Charly Bravo, Paco Benlloch, Natalia Kim, Ivonne Sentis, Romano
Puppo, Luis Prendes, Helga Liné, Mattieu Ettori, Luis Barboo
Produzione: Gianni Bozzacchi, Valerio De Paolis per Compagnia Europea Cinematografica, Aspa
Producciones
Durata: 92 minuti
Prima proiezione: 4 agosto 1978
Sinossi:
Clayton Drumm è un cowboy che sta per essere impiccato; se riesce a scampare all’esecuzione è
solo perché accetta per conto di una compagnia ferroviaria di uccidere Matthew Sebanek, un
agricoltore che si rifiuta di vendere il proprio terreno. Drumm raggiunge il ranch dove conosce
non solo Sebanek ma anche sua moglie, la giovane e splendida Catherine, che si innamora del
cowboy. Sebanek stringe amicizia con Drumm, ma quando si rende conto che i due hanno una
relazione amorosa diventa furibondo. Dalla colluttazione ha inizio una nuova avventura…
Ultimo film degli anni Settanta per Monte Hellman, e ultimo lungometraggio di finzione per un
decennio (nel 1988 sarà la volta di Iguana, poi arriveranno solamente Silent Night, Deadly Night 3:
Better Watch Out! e Road to Nowhere), Amore, piombo e furore spinge il regista a confrontarsi con
lo spaghetti-western. Oltre a questo la produzione si svolge tra la Spagna – la consueta Almería – e
l’Italia (per la precisione gli studi romani della Dear, sulla Nomentana), lontano dunque da quei
panorami che avevano conformato l’immaginario dei due western prodotti da Roger Corman, La
sparatoria e Le colline blu. A migliaia di miglia di distanza, e con oltre dieci anni trascorsi tra quei
due titoli e la sua trasferta italo-spagnola, Hellman sembra quasi voler trovare un punto di
connessione tra le varie e diversificate riletture del genere venute alla luce a partire dagli anni
Sessanta. Ecco dunque che il suo approccio paesaggistico e minimale, fatto di poche parole e ancor
meno azioni, si confronta direttamente con la volutamente esasperata virulenza della produzione
europea; per chiudere il cerchio, qualora il discorso non fosse abbastanza chiaro, ecco l’apparizione
in scena di Sam Peckinpah, impegnato (con qualche goffaggine) nel ruolo di uno scrittore
decisamente sui generis. Sui generis è anche l’intero impianto scenico, che si regge su una
sceneggiatura a dir poco fantasiosa scritta da Ennio De Concini e Vicente Escrivá Soriano. Proprio
il materiale narrativo, nella sua completa libertà logica, è il punto di partenza essenziale per
comprendere l’operazione portata a termine da Hellman: con il genere che sta digradando anche
negli interessi del pubblico – oltreoceano di lì a un paio d’anni arriverà il de profundis quasi
definitivo con la demistificazione totale di Michael Cimino e del suo I cancelli del cielo – il regista
preferisce asservirlo completamente alla propria narrazione dell’uomo e del mondo/società in cui è
costretto a muoversi. A fronte di un sistema che è sempre vessatorio (e mette gli uni contro gli altri
solo per acquisire una nuova proprietà immobiliare) l’unica arma di difesa è dapprima la fuga e poi,
dopo la presa di consapevolezza della propria classe, l’unione. Così anche Amore, piombo e furore,
come già i precedenti western e anche il capolavoro Strada a doppia corsia si dimostra a conti fatti
un “travel-movie”, un film di attraversamento. Il cast, dove appare il sempre eccelso Warren Oates,
vede nel ruolo principale un convincente Fabio Testi, mentre il personaggio femminile è affidato
all’inglese Jenny Agutter, che raggiungerà la fama nel 1981 con Un lupo mannaro americano a
Londra di John Landis. Il titolo inglese del film, China 9, Liberty 37, fa riferimento ai due cartelli
dell’inquadratura iniziale.
Gangster
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