Roma di Michelangelo Antonioni (1990, 9’)
Cortometraggio realizzato nell’ambito di 12 autori per 12 città, all’interno della serie prodotta in occasione dei Mondiali di calcio del 1990.
a seguire Lo sguardo di Michelangelo di Michelangelo Antonioni (2004, 15’)
Dopo molti anni Antonioni torna a S. Pietro in Vincoli e attraversa in silenzio la navata della chiesa immersa nella penombra, attratto dalla forza ancestrale del marmo scolpito. Nei quindici minuti d’immagini che seguono, il grande maestro del cinema italiano ci coinvolge nel turbamento assorto che pervade il genio nel momento del distacco dalla sua opera. Il progetto di questo film, realizzato grazie al contributo dell’Istituto Luce, rappresenta la fase culminante di un progetto di comunicazione interdisciplinare, ideato e condotto da Lottomatica, dedicato alle fasi di restauro della sepoltura monumentale di Papa Giulio II, di cui il Mosè è l’elemento più famoso e prezioso. «Di fronte alla forza del Mosé, forse cogliendo subito la sua “terribilità” e la luce che emana e sprigiona e che colpisce, Antonioni ha deciso di mettersi in gioco, di autorappresentarsi (per la prima volta, lui così schivo e riservato). Autorappresentarsi per rappresentare questo incontro, per trovarsi di fronte a questa grandezza con tutto se stesso, per cercare i tanti sguardi possibili e anche impossibili del Mosè, e donarci, col suo occhio, la bellezza restituita allo splendore della sua enigmaticità, lui giovane di novantadue anni di fronte al cinquantenne Mosè» (di Carlo).
a seguire Professione: reporter di Michelangelo Antonioni (1975, 121’)
«È la storia di un uomo che ha per mestiere il guardare. Ma lui a questo mestiere non crede più, […] vuole abbandonare il guardare per il “fare” e per questo […] quando ne ha l’occasione decide di cambiare vita, come Il fu Mattia Pascal di Pirandello: si china sul cadavere di Robertson, l’amico sconosciuto, e, fin dall’inizio forse, come dice lo stesso Antonioni, ne assorbe il destino di morte» (di Carlo). «Quando mi proposero il soggetto, in un primo tempo rimasi un po’ sconcertato. Poi, d’istinto, decisi di accettare. Cominciai le riprese prima di avere ultimato la stesura della sceneggiatura perché gli obblighi professionali di Jack Nicholson ci lasciavano poco tempo. Sono partito quindi con un certo sentimento di distanza nei confronti del film. Per la prima volta, mi trovavo a lavorare più con la testa che, diciamo, con il “ventre”. Ma durante le riprese delle prime scene la vicenda cominciò a interessarmi. […] Il film durava due ore e dieci, per essere raccontata bene, la vicenda esigeva quel metraggio. Il contratto con la Metro prevedeva però una durata di due ore, non un minuto di più. Lottai tre mesi come un pazzo furioso contro la Metro, ma alla fine dovetti piegarmi: l’alternativa era tagliare o non lasciare uscire il film. Le due scene che ho dovuto tagliare davanti un senso assai diverso al film. Se avessi potuto montare tutte le sequenze che avevo girato, Professione: reporter sarebbe il mio miglior film» (Antonioni).«Nella penultima inquadratura del film, l’occhio di Antonioni è sospeso nello spazio (la mdp sorretta da una gru alta trenta metri) per essere libero di raccontare dal di fuori ciò che avviene con un’ottica di osservazione sdoppiata: l’ottica di lontananza e l’ottica della prossimità che gli permettono di esplorare minuziosamente ogni dettaglio di senso dell’immagine. Nel suo ultimo movimento, totalizzante, la mdp è come se planasse sul mondo, ad afferrare le ultime immagini e forse a indicare l’inevitabilità della morte. Professione reporter è un film che nel suo farsi è entrato nella Modernità» (di Carlo).